Al bombardatore Obama il Nobel per la pace, al pacifista Trump l’ignominia e l’oblio
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La presidenza di Donald Trump può essere legittimamente vista e valutata in mille modi diversi, però nessuno può sottrarsi dalla lezione che viene fuori dagli accadimenti che lo hanno riguardato fin dagli inizi del suo mandato, una lezione che è semplice e tremenda allo stesso tempo, dove si pensi che se una volta per fare un colpo di Stato bisognava impossessarsi delle sedi radiotelevisive, oggi potrebbe bastare anche soltanto una telefonatina a Zuckerberg
– Silvio Cortina Bascetto –
Domani il presidente repubblicano Donald Trump lascerà la Casa Bianca al democratico Joe Biden e, contrariamente a quanto fatto dai media nazionali ed internazionali da quando il Tycoon vi s’insediò legittimamente, voglio cercare di capire che cosa è successo negli ultimi venti giorni e ringraziarlo per non avere, in quattro anni, trascinato gli USA e il mondo in nessuna guerra, in nessuna esportazione della democrazia a suon di bombe.
Voglio partire dalla sospensione degli account Facebook, Twitter e Instagram, suoi e del suo staff, che è stata, a mio avviso, faziosamente commentata dai media, sottovalutando il pericolo insito in questo nuovo tipo di censura. Che sia stata una mossa politica avente nulla a che vedere con il regolamento di queste piattaforme è palese considerando, ad esempio, che nessun provvedimento fu preso in occasione delle devastazioni e violenze provocate dal movimento dei BLM – Black Lives Matter seguito all’uccisione dell’afroamericano George Floyd da parte della polizia di Minneapolis nello scorso mese di maggio e che, per settimane, misero a soqquadro molte città americane, creando addirittura zone vietate alla polizia.
Ebbene, se una piattaforma social è, giustamente, contro la violenza lo deve essere sempre e non in base alla fazione politica di chi la compie. Ma, come quelli italiani, i democratici americani hanno un concetto strabico della democrazia e della violenza perché anch’essi, lo scorso mese di maggio si misero a versare benzina sul fuoco della scomposta protesta dove, tra l’altro, addossarono con fini elettorali la colpa dell’accaduto al presidente Trump, che non c’entrava nulla … fu come se noi addossassimo al presidente Mattarella la colpa di un omicidio per rapina avvenuto ad Agrigento. Peraltro, fatto ovviamente messo in ombra dai media del mainstream, il capo della Polizia di Minneapolis era un Ufficiale di colore e il sindaco un democratico.
Non mi risulta, poi, che il padrone della piattaforma in questione, il signor Mark Elliot Zuckerberg, abbia mai preso provvedimenti analoghi verso quei feroci dittatori dei quali, purtroppo, è ancora pieno il mondo, ma più preoccupante è stato l’oscuramento del social Parler, analogo a Whatsapp, che si avvaleva di hardware di proprietà Amazon per andare online, che è stato messo a tacere senza preavviso, né con qualche spiegazione, soltanto perché ospitava molti sostenitori di Trump. Insomma siamo al bavaglio da parte di Zuckerberg, alla censura del libero pensiero altro che regolamento che, tra l’altro dovrebbe valere per il proprio social, non per quelli altrui.
Ritornando a Trump, chiunque abbia neutralmente ascoltato il suo discorso del 6 gennaio, si è potuto rendere conto che non accennò mai ad alcuna violenza ma, semmai, incoraggiò i suoi sostenitori a manifestare lungo il viale del Congresso, non certo ad assaltarlo.
Purtroppo la storia si snoda lungo un filo invisibile che spesso non declina gli eventi umani nel modo giusto ma soltanto più conveniente ai sistemi di potere. Speriamo che Biden, il quale domani prenderà possesso della Casa Bianca, capisca che sta per diventare il presidente di un Paese lacerato e che, a lume di buonsenso, non conviene lacerarlo ancor di più perseguitando Trump per le sue idee, sennò quanto accaduto a Capitol Hill verrà percepito dai suoi seguaci come l’unico modo per far valere le proprie idee in un Paese in mano ai democratici. E sarebbe una percezione molto pericolosa in un Paese dove il popolo non chiede, come in Italia, il permesso alla Questura prima di scendere in piazza contro il potere.
Ma il bello della democrazia americana, che pure ha presentato i suoi limiti alle ultime elezioni presidenziali, è che non si sottrae ai processi storici che la vedono imputata sicché, secondo me, passata la sbornia dell’establishment per la vittoria di Biden bisognerà incominciare a capire quanto, durante la campagna elettorale, le violenze dei BLM abbiano contribuito ad insabbiare gli scandali finanziari e tangentizi che coinvolgono la famiglia del neo presidente. Per quanto, invece, riguarda i media, sono del parere che una rete televisiva libera non dovrebbe oscurare il presidente degli Stati Uniti se questi denuncia frodi elettorali ma dovrebbe, semmai, prendere la palla al balzo per promuovere una rapida inchiesta con la quale, eventualmente, sputtanarlo. Anche perché, se una persona accusata di aver commesso un reato è innocente, non fa di tutto per impedire che se ne parli, ma anzi s’indigna e pretende una chiarificazione. Ma tant’è…
Per carità, la presidenza di Donald Trump può essere legittimamente vista e valutata in mille modi diversi, però stiamo attenti perché la lezione che viene fuori dagli accadimenti che lo hanno riguardato è semplice e tremenda allo stesso tempo: se una volta per fare un colpo di stato bisognava impossessarsi delle sedi radiotelevisive, si capisce che oggi potrebbe bastare anche una telefonatina a Zuckerberg.
In casa nostra è stata altrettanto di parte la decisione di sospendere dai social Casapound, il vignettista Krancic e un assessore veneto per aver scherzosamente cantato, durante un’intervista e su richiesta del giornalista, la canzone “Faccetta nera”. Questo è un tipico esempio di meritocrazia” alla cinese, un Paese molto amato dal nostro premier a quanto pare, dove se la pensi come il regime bene, altrimenti niente servizi, perché per la veicolazione delle idee si è liberi soltanto di fare ciò che consente il potere.
Le piattaforme social, essendo private, sono liberissime di darsi le regole che credono purché, però, tali regola valgano per tutti. Fossi nei “democratici” di tutto il mondo non gioirei di queste messe al bando ideologiche dai social e mi porrei, invece, un interrogativo: che cosa succederà il giorno in cui il signor Zuckerberg venderà la sua azienda al signor Sugarmount il quale, senza cambiare il vigente regolamento, prenderà gli stessi provvedimenti contro la Sinistra e contro il presidente democratico degli USA?
È su questo interrogativo che voglio chiudere mentre sta lasciando la Casa Bianca un presidente sicuramente sopra le righe ma che – evento raro dal dopoguerra ad oggi – è stato innegabilmente il più pacifista tra i suoi predecessori e al quale la storia, prima o poi, sarà costretta a renderà giustizia.
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