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Addio Sergio

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I piacioni non servono a un Paese lento e complesso come il nostro. Fatte le debite proporzioni e differenze, possiamo dire che un leader aziendale poco simpatico come Marchionne è stato per la Fiat ciò che Cavour fu per l’Italia

– Enzo Ciaraffa –

«Berlusconi è un grande, nella sua uscita ha spiazzato tutti quanti, chapeau per lui ma a fare il candidato leader del centrodestra non ci penso proprio, nemmeno di notte». Così il 9 luglio dello scorso anno Sergio Marchionne commentò la dichiarazione di Silvio Berlusconi secondo cui l’uomo dal maglioncino blu sarebbe stato il candidato ideale del centrodestra nelle elezioni politiche nell’imminente mese di marzo.
Nella circostanza scrivemmo che la politica italiana si era bevuta il cervello e che il Cavaliere certamente aveva risentito dell’età in merito a quell’esternazione, perché Marchionne poteva essere tutto, finanche il papa, ma di certo non il premier di un Paese già in debito di credibilità politica all’estero. Ciò perché quello il capo operativo della Fiat naturalizzato canadese, era domiciliato in Svizzera e, quindi, non pagava neppure le tasse nel Paese di cui sarebbe dovuto diventare premier. È stato il manager che ha portato via dall’Italia importanti assetti produttivi e finanziari della casa automobilistica torinese, che ha trasferito le basi operative dell’azienda (sempre per pagare meno tasse…) in Olanda, in Gran Bretagna, negli Usa, in Brasile, a Shanghai, ha disdetto il contratto dei metalmeccanici ed ha portato la Fiat fuori da Confindustria.

Ma adesso che la sorte terrena di Marchionne si è conclusa in quell’ospedale di Zurigo, teniamo a dire che, considerazioni politiche a parte, abbiamo ammirato le sue doti di manager vero come non se ne vedevano dai tempi di Vittorio Valletta, colui che portò la Fiat fuori dalle macerie della guerra ai fasti del trentennio 1946-1976.
In meno tempo di Valletta però, esattamente in quattordici anni, Marchionne ha portato la casa torinese, da prossima al fallimento che era e con in pancia due miliardi di passivo, a diventare un gruppo globale che oggi occupa il settimo posto al mondo tra i produttori di auto.
Secondo Montanelli, Camillo Cavour aveva la voce chioccia ed era pure antipatico, però realizzò l’Unità d’Italia. Come dire che i piacioni non servono ad un Paese lento e complesso come il nostro. Ecco, fatte le debite proporzioni e differenze, potremmo dire la medesima cosa di Sergio Marchionne.
Non possiamo conoscere quali siano in questo momento i disegni dell’Onnipotente per la vita ultraterrena di Sergio Marchionne e, tuttavia, amiamo pensare che gli sia stato riservato un posto tra i grandi capitani d’azienda.. magari in Purgatorio. Credo che siano d’accordo con noi  anche gli operai dell’azienda, anche la Fiom che lo avversò aspramente, anche gli altri sindacati, praticamente tutti. Addio Sergio.

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