Addio Lucio, mi mancherà il tuo cappellino
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Lucio Piccoli, per coloro che lo hanno conosciuto, è stato un mito con la sua aria sorniona e critica allo stesso tempo, con la battuta sempre pronta e con l’immancabile cappellino con la visiera in testa. Eclettico uomo di spettacolo ha conservato, fino alla fine, la capacità di riuscire ad ironizzare perfino sulla propria malattia, improvvisando con gli amici del cuore sketch estemporanei sui suoi malanni fisici
– Francesco Gaeta –
Secondo Cicerone, dopo la sapienza, l’amicizia è il bene più prezioso che posseggono gli esseri umani perciò, quando se ne va un amico, il mondo diventa un po’ più povero. Questo potrebbe essere il mio epitaffio per l’impresario teatrale bustocco Lucio Piccoli che ci ha appena lasciati, se non fosse per il fatto che il raccontare più dettagliatamente la vita delle persone care serve a prolungarne la memoria su questa terra.
Lucio, uomo di spettacolo da prima che io nascessi, aveva iniziato la sua parabola artistica e professionale assieme a un altro bustocco doc, l’attore Lucio Flauto, girando assieme a lui i primi Caroselli pubblicitari per la Rai e cimentandosi nel ruolo di presentatore fino a diventare direttore artistico di Antenna 3 e, infine, affermato impresario dello spettacolo. Sulla scansione della sua carriera non mi dilungo oltre perché potete trovarne il resoconto nel libro “Una vita da impresario”, che è da considerarsi un po’ il suo testamento artistico e spirituale: aggiungo soltanto che l’essere stato citato con affetto in questo libro è stato per me un grande onore, tanto più che non erano molte le persone da lui ricordate.
Il mio incontro con Lucio risale a quindici anni fa grazie ai buoni uffici di un’allegra brigata di “scapocchioni” (per i non campani: teste gloriose), quali i suoi e miei amici Emilio, Vittorio, Marietto e Vincenzo. Da quel momento egli è diventato per me un mito vivente con la sua aria sorniona e l’immancabile cappellino con la visiera in testa. Solo in un secondo momento, da specialista, ho potuto conoscerlo più intimamente a causa delle sue traversie cliniche, rimanendo ammirato anche in tali circostanze dalla sua capacità di riuscire a ironizzare perfino sulla propria malattia, improvvisando estemporanei sketch sui malanni, tanto che dopo averlo visitato gli ho spesso detto che, se fossi nato qualche anno prima, mi sarebbe piaciuto fare la sua “spalla” visto il comune senso dell’humor.
Quelle poche volte che riuscivamo a incontrarci fuori dallo studio medico, mi avvinghiava con i racconti del suo mondo, quello dello spettacolo, che io ho conosciuto soltanto marginalmente durante alcune esperienze di gioventù e, successivamente, in età adulta. Sicché, un’amicizia nata quasi per caso è riuscita a produrre una serie di attività artistiche a partire dallo spettacolo teatrale “Serata Swing: tra musica e medicina”, per finire alla rutilante presentazione di un mio libro e, pur conoscendo ormai le sue precarie condizioni di salute, mi ha riempito l’animo d’infinita tristezza la sua chiamata di qualche giorno fa con la quale mi annunciava di sentire di essere arrivato al capolinea. Capolinea? Caro Lucio, nel dirti addio amo pensare che la morte è soltanto il prologo di un’altra sceneggiatura. E tu, vi scommetto, la stai già scrivendo.
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