A’ gènte mia…
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Nessuno che sia nato dalle parti del Vesuvio riesce a mantenersi algido e razionale quando tutto intorno a lui ribolle di passione. No, non si riesce a reprimere la tenerezza quando si vedono bambini, donne, anziani e persino paraplegici, armarsi di bandiere e striscioni azzurri per mettersi in marcia e per andare senza neppure sapere dove. È quello il vero popolo di Napoli perché tra i marcianti c’è la massaia, il professore, l’agente in borghese, il regista famoso, lo scugnizzo, l’extracomunitario in mise azzurra e perfino una monachella col saio marrone
– Enzo Ciaraffa –
Le stimmate caratteriali di noi campani, dei napoletani in modo particolare, derivano indirettamente da quell’arido sciupafemmine di Ulisse il quale, “per una mancata seduzione”, indusse la sirena Partenope ad affogarsi, per il dolore, nel golfo che da lei prende il nome. Se, dunque, quell’impunito re di Itaca fosse transitato per altri lidi, la virginea sirena non si sarebbe lasciata annegare nel golfo e gli antichi coloni greci, che non dormivano la notte se non edificavano le città sopra una tomba illustre, avrebbero fondato Neapolis più a nord, verso quello che oggi è il litorale domiziano, e noi campani non avremmo ereditato da essi la genetica propensione all’ammuìna.
Ma per poter comprendere veramente che cosa sia l’ammuìna (che è differente dal caos) bisognava essere a Napoli nelle scorse ore, mentre la sua squadra di calcio stava per conquistare lo scudetto. Basti pensare che io, un solitamente compassato e barbuto Ufficiale dell’Esercito in pensione proveniente dalla pragmatica Lombardia, sono arrivato di mattino con tanto di grisaglia e di sussiego e alla sera ero già nelle condizioni della foto di copertina assieme a due miei amici e parenti, che normalmente esercitano delle professioni piuttosto impegnative e importanti. Ma tant’è…
Prima di andare avanti devo chiarire che ero sceso a Napoli per ben altre incombenze e soltanto per caso mi sono ritrovato rapito – anche se sarebbe più giusto dire coinvolto – dall’ammuìna per il terzo scudetto della squadra che fu anche di Diego Armando Maradona. Non fraintendetemi, ero contento di essere in mezzo alla mia gente in un momento di gioia collettiva e, caso o non caso, non avrei voluto essere in nessun’altro posto al mondo mentre il grande cuore di Napoli batteva all’unisono con il mio anche se, forse non ci crederete, non m’intendo di calcio e non sono neppure un tifoso di questa o quella squadra.
E allora come mai tanta emozione per un evento calcistico? Che volete, è difficile mantenersi “neutri”, algidi e razionali, quando tutto intorno a te ribolle di passione come il magma del Vesuvio. E d’altronde come sarebbe possibile inghiottire la commozione quando vedi bambini donne, anziani, monachelle col saio marrone e persino paraplegici sulla sedia a rotelle mettersi in ordine di marcia e andare avanti senza neppure sapere dove? Mi ha fatto tanto bene tuffarmi nel rassicurante liquido amniotico delle mie origini… anzi, per parafrasare il poeta di Recanati, posso dire che mi è stato dolce naufragare in cotanto mare di umanità colorata di azzurro.
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